L’autismo nel mondo delle organizzazioni. Intervista con Fabrizio Acanfora.
Il due aprile è stata celebrata la giornata mondiale della Consapevolezza dell’Autismo (WAAD, World Autism Awareness Day), istituita nel 2007 dall’Assemblea Generale dell’ONU.
All’interno di questo articolo, abbiamo chiesto a Fabrizio Acanfora, scrittore e divulgatore, neurodivergent advocate e responsabile della comunicazione e delle relazioni esterne di Specialisterne Italia, di aiutarci a fare un po’ di chiarezza riguardo questa tematica, che da sempre desta interesse, ma che è ancora troppo pervasa di stereotipi e di cliché.
Che cos’è l’autismo?
Le tematiche legate all’autismo sono da sempre in continua evoluzione.
Basti pensare che fino a qualche decennio fa (ad esempio fine anni ’60 con la seconda edizione del DSM, il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali), l’autismo compariva in modo sporadico e descriveva sintomi che appartenevano alla schizofrenia.
Nell’ultima edizione del DSM (2013), la quinta, si è passati a parlare di spettro autistico, proprio perché è una definizione che racchiude al suo interno l’eterogeneità e la varietà.
A questa modifica diagnostica che interessa per lo più gli specialisti si è affiancato un cambiamento di paradigma culturale importante, per cui finalmente, si sta cominciando a dare voce ai diretti protagonisti e quindi sono proprio gli autistici a parlare di questa condizione e a spiegarla.
È chiaro che è proprio chi vive certe situazioni che deve parlarne e che può farlo con cognizione di causa.
Nel caso specifico dell’autismo questo ha comportato una serie di cambiamenti anche nell’utilizzo di alcuni termini.
Fabrizio Acanfora a questo proposito ci spiega il perché è importante prestare attenzione ai vocaboli….
“L’autismo è una condizione del neurosviluppo, una differente organizzazione del sistema nervoso, cosa che ormai sottolineano anche molti specialisti.
Parlare di malattia è fuorviante perché l’associamo all’idea di “cura”.
Ma sappiamo che si è autistici per tutta la vita. In questo senso ci aiuta il concetto di neurodiversità che, nelle parole di Judy Singer, la sociologa e attivista autistica che l’ha creato, è l’equivalente neurologico dell’idea di biodiversità, ossia è la naturale variabilità di tratti tra un cervello e l’altro e nel quale rientriamo tutte e tutti.
L’utilità di questo concetto è fondamentale perché ci spinge a pensare alle caratteristiche delle persone autistiche appunto come differenze e non come deficit, soprattutto perché sappiamo che molti di questi deficit sono tali nel momento in cui una persona con un modo di percepire ed elaborare il mondo differente dalla media entra in relazione con una società strutturata da e per persone che, invece, rientrano nella cosiddetta “normalità”.
In questo senso ciascuna persona diventa responsabile dell’accessibilità e dell’apertura verso la diversità, discorso imprescindibile se vogliamo riuscire a rimuovere tutte quelle barriere non solo fisiche ma anche sensoriali, psicologiche e sociali che possono escludere chiunque si allontani dall’ideale di normalità”.
Autismo nelle organizzazioni: perché parlarne
Fabrizio Acanfora preferisce parlare di convivenza delle differenze piuttosto che di inclusione, in quanto richiama la necessità di un bilanciamento, ovvero una giusta attenzione a tutte le individualità, in un processo di reciprocità.
L’inclusione presuppone comunque uno sbilanciamento tra la maggioranza che ha la possibilità di includere una minoranza.
A questo proposito gli abbiamo chiesto perché è fondamentale parlare di questo aspetto all’interno delle aziende.
Poter contare su un gruppo di lavoro dove convivono le differenze e quindi formato da persone con funzionamenti neurologici differenti che vantaggi porta all’azienda stessa?
“In azienda questo aspetto è fondamentale. Soprattutto, ragionare a partire dall’idea di neurodiversità, cioè dal fatto che siamo tutte e tutti differenti anche da un punto di vista neurologico, ci aiuta a pensare alle neurodivergenze in termini di differenze, eliminando lo stigma associato a condizioni come l’autismo.
Riusciamo così a spostarci da una visione prettamente deficitaria, in cui le differenze sono difetti da riparare, e quindi limiti, a una in cui possono diventare possibilità.
Questa consapevolezza è il primo passo nella ricerca di soluzioni condivise che possano permettere alle persone nello spettro autistico di esprimere i propri talenti personali. E non parliamo necessariamente di talenti fuori dalla norma, come spesso viene erroneamente suggerito da una visione che spettacolarizza l’autismo raccontando di persone dai tratti geniali.
Si tratta invece di riuscire a pensare in termini di reciprocità, di trovare punti d’incontro tra due modalità cognitive, comunicative, sociali e sensoriali differenti che proprio nella loro diversità spesso trovano reciproche difficoltà nell’interazione.
Tutto questo si può raggiungere cercando di conoscere ciascuno la realtà dell’altro senza pregiudizi, con curiosità, col fine di creare le condizioni ideali a far appunto emergere e sviluppare i talenti di ciascuna persona a prescindere dal proprio funzionamento neurologico.”
La realtà di Specialisterne
Se ne parla poco, ma tra gli autistici il tasso di disoccupazione è molto alto. Fabrizio Acanfora è anche responsabile delle relazioni esterne per Specialisterne Italy, organizzazione che si occupa di inserimento lavorativo delle persone autistiche.
Per questo motivo gli abbiamo chiesto di spiegarci brevemente in che cosa consiste questa realtà e come è possibile dare dei segnali concreti all’interno delle aziende.
“In Specialisterne cerchiamo di creare queste condizioni. Lo facciamo formando da un lato la persona autistica da un punto di vista tecnico e socio lavorativo, fornendo cioè strumenti per comprendere la realtà aziendale. Dall’altra parte formiamo e sensibilizziamo tutta l’azienda in modo da preparare un ambiente lavorativo in grado di gestire al meglio l’inserimento della risorsa autistica, cercando di fornire i mezzi per facilitare l’interazione, per comprendere al meglio alcune caratteristiche specifiche comuni alle persone neurodivergenti.
Personalmente mi occupo soprattutto di questa parte, fornendo la visione di una persona che vive il mondo da autistica. È una parte del mio lavoro particolarmente gratificante, perché riesco a vedere coi miei occhi quanto le aziende siano in maggioranza desiderose di comprendere certi aspetti, e quanto la mia esperienza personale possa essere utile a chiarire dubbi e a fornire suggerimenti.
L’ultimo tassello che, a mio avviso, rende efficace il metodo di Specialisterne è la presenza di un coach specializzato che fa da mediatore tra la persona autistica e l’azienda in cui viene inserita.
Si tratta di un approccio che, da persona nello spettro autistico, vedo estremamente rispettoso delle caratteristiche di ciascuna persona e che tra l’altro si rivela essere un vantaggio non solo per le persone autistiche ma per tutta l’azienda, che si apre così alle infinite possibilità che la diversità umana esprime, arricchendosi di intelligenze e sensibilità diverse e tutte necessarie a creare un ambiente innovativo e plurale”.
In Conclusione
Attraverso le parole di Fabrizio Acanfora emerge quanto è importante diffondere all’interno delle organizzazioni una cultura rispettosa delle diversità e aperta a creare uno spazio in cui i collaboratori possono esprimersi con serenità, perché vengono accolte le caratteristiche cognitive, sensoriali, sociali e comunicative di ciascuno.
Questo non può che essere vantaggioso per le aziende stesse, perché in un ambiente di questo tipo è più facile che sorgano pensieri innovatori, arricchiti dal confronto delle diverse risorse personali.
A cura di Sara Comandatore,
Social Care Coordinator
Stimulus Italia