Donne e tecnologia: l’esigenza di un ritorno alle origini
Al contrario di quello che si potrebbe pensare oggi, la tecnologia non è sempre stata un ambito a predominanza maschile.
Negli anni ’50 si stima che le donne rappresentassero tra il 30 e il 50% sul totale degli studenti delle facoltà di informatica nel mondo. Questa percentuale si rifletteva anche nella quota di forza lavoro che accedeva alla professione dopo gli studi.
Questa quasi parità di genere che si registrava verso la metà del XX secolo sembra però essere ormai un lontano ricordo.
Nel 2020, in Italia, i laureati in ambito informatico e ICT sono stati per l’85% uomini, e gli stessi numeri si riflettevano anche nel mercato del lavoro.
Dall’altra parte dell’Atlantico, la situazione è leggermente migliore, anche se comunque non ancora soddisfacente.
Il National Center for Women & Information Technology (NCWIT), che fornisce dati sulla formazione delle donne americane nelle materie CIS (acronimo di Computing and Information Sciences), indica che queste rappresentano solo il 21% del totale degli studenti che conseguono la laurea triennale. Tanto che la prestigiosa Università di Berkeley, pur di favorire una maggiore iscrizione da parte delle giovani studentesse, ha finito per uniformarsi agli stereotipi di genere intitolando il suo corso digitale “The beauty & joy of computing” (La bellezza e la gioia dell’informatica).
Ma a cosa è attribuibile la svolta storica che ha visto crollare la presenza di donne in questo settore?
In primis vi fu l’arrivo dei primi PC negli anni ’80, allora commercializzati come prodotti di consumo destinati a ragazzi e uomini.
Nello stesso periodo, l’industria dei videogiochi in piena espansione ( i primi PC erano utilizzati principalmente per giocare) si rivolgeva soprattutto a un pubblico maschile. E così, mentre i lavori di programmazione diventavano sempre più ambiti e prestigiosi, il settore diventava sempre più maschile.
Per un ritorno all’età dell’oro della parità di genere.
Oggi, il desiderio di ritornare a quella originaria parità di genere nel settore viene affermata a più riprese, e per diversi motivi.
In primo luogo, per una questione etica.
Secondo stime recenti, solo il mercato dell’Intelligenza Artificiale varrà in Italia 700 milioni di euro entro il 2025.
È evidente quindi come quello tecnologico sia un settore molto redditizio, nel quale un mancato rispetto della parità di genere potrebbe contribuire ad ampliare le disuguaglianze in termini di ricchezza e potere tra donne e uomini all’interno della società.
Per non parlare delle sfide elevate che il settore delle risorse umane si trova e si troverà a fronteggiare sia in termini di attrazione che di conservazione dei talenti.
Come dimostrato da numerosi studi, la diversità di genere è una forza trainante nel garantire il benessere all’interno dei team di lavoro, la creatività e l’innovazione, e quindi, di conseguenza, la performance dei collaboratori.
In questo senso, i team misti otterrebbero risultati migliori del 23% a livello internazionale, secondo il Global Compact.
Al contrario, la mancanza di diversità di genere può aumentare l’insorgenza di fenomeni preoccupanti come il sessismo.
Nella Silicon Valley, il turnover delle dipendenti donne è doppio rispetto a quello degli uomini e una delle spiegazioni di questo fenomeno sembrerebbe risiedere nella cosiddetta “bro culture” (termine che si riferisce alla cultura maschilista di alcuni programmatori della Silicon Valley) la quale impatta sulla salute mentale delle donne al lavoro. Nella vita quotidiana, poi, gli stereotipi di genere possono assumere forme diverse.
Ad esempio, da uno studio condotto sempre su donne che lavoravano nella Silicon Valley e che erano nel settore da più di 10 anni, è emerso come l’87% di loro avesse già notato come alcuni colleghi tendessero a dare la precedenza alle loro controparti maschili quando facevano domande, dando quindi per scontato che i colleghi maschi fossero più competenti.
Infine, ma non meno importante, la (dis)parità di genere nel settore tecnologico ha un impatto anche sulla qualità dei prodotti.
Questo è il dibattito che sta emergendo negli ultimi anni sui pregiudizi presenti negli algoritmi e sulla nozione di responsabilità algoritmica. Nel 2018, l’informatico Joy Buolamwini ha pubblicato ,insieme al ricercatore Timnit Gebru, un documento intitolato “Gender Shades”, nel quale si evidenzia come i pregiudizi razziali e di genere permeino persino le intelligenze artificiali. I risultati sono inquietanti: le macchine identificherebbero meglio gli uomini rispetto alle donne e i bianchi rispetto a chiunque abbia la pelle più scura.
È chiaro che una vera e propria mescolanza di sviluppatori e di competenze potrebbe consentire di prevenire, o almeno ridurre, i pregiudizi fin dalla fase di progettazione del prodotto.
Agire sì, ma come?
Di fronte a queste grandi sfide, le aziende del settore delle tecnologie digitali devono continuare ad agire.
Ecco allora alcune buone pratiche da implementare al fine di favorire una maggiore parità di genere.
Per le nuove start-up tecnologiche, è consigliabile pensare alla questione dell’uguaglianza di genere fin dalle fasi iniziali del progetto o, ancora meglio, inserire l’uguaglianza di genere tra i valori fondamentali dell’azienda. È inoltre consigliabile formalizzare meccanismi di azione positiva il prima possibile, al fine di evitare forme di “debito di genere” in futuro.
Per le aziende già affermate, piccole o grandi che siano, è possibile stringere partnership con scuole di tecnologia che favoriscono l’inclusione, targettizzare efficacemente le offerte di lavoro, affidarsi a una comunicazione inclusiva nella descrizione delle mansioni ricercate.
Assicurarsi di promuovere role model femminili e contribuire così a ispirare le donne nel settore.
Garantire l’attuazione di processi HR inclusivi per la strutturazione delle carriere professionali.
Sensibilizzare tutti i dipendenti sugli stereotipi di genere. Questo avrà un forte impatto sul gruppo di lavoro e consentirà di monitorare e prevenire i comportamenti sessisti.
L’attuazione di un certo numero di azioni nell’ambito di una più ampia politica di parità professionale potrà consentire così di riaccendere i riflettori sul talento femminile, pioniere nel mondo tech.
In conclusione, però, è bene ricordare che la questione della parità di genere nel settore tecnologico non potrà essere lasciata alle sole aziende; esse dovranno agire di pari passo con le forze politiche, in particolar modo per sollevare le questioni legate all’orientamento scolastico ed accademico prima dell’ingresso in azienda.
A cura di Emilie Fréchet, Consultant, EQUILIBRES