
Autismo e rete: i nodi di una maglia multicolore
Il 2 Aprile è la Giornata Mondiale della Consapevolezza dell’Autismo, in tutte le sue caratteristiche, forme e colori.
La data, indetta dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 18 dicembre 2007, rientra tra le giornate ONU ufficiali dedicate alla salute.
Obiettivo del giorno è riunire le singole organizzazioni dedicate all’autismo esistenti in tutto il mondo per collaborare riguardo alla ricerca, diagnosi, trattamento e integrazione a beneficio delle persone caratterizzate da tale funzionamento cognitivo e comportamentale.
Per questa giornata il nostro intento è:
- incuriosire il lettore verso un mondo ancora poco conosciuto;
- far conoscere le esperienze di queste persone e dei loro caregiver;
- sottolineare l’importanza di creare buone prassi di accompagnamento e costruzione della rete di riferimento per instaurare un circolo virtuoso, positivo e vincente.
In attesa di un nome
Oggi grazie a film, Sitcom, libri e pubblicità siamo venuti a conoscenza delle caratteristiche delle persone autistiche. Siamo un poco più esperti, secondo i canoni dettati dai media stessi.
In realtà, poco sappiamo di come si è arrivati a quel nome, che contraddistingue un funzionamento molto diverso da quello che definiamo “normale” e che paragoniamo al nostro.
Il percorso di una famiglia per arrivare ad una definitiva diagnosi di Autismo di solito è suddiviso in tre differenti fasi.
1. Confusione
In una prima fase le famiglie, in particolare i genitori del bambino/ragazzo, si sentono particolarmente confuse.
A volte iniziano a vedere i segnali di quello che è un funzionamento diverso, ma tale diversità confonde le idee o spaventa.
Magari il proprio bambino è ancora piccolo ed è il primo figlio; i genitori, alla loro prima esperienza, non comprendono alcuni atteggiamenti e modalità.
In altre situazioni, è la persona stessa che, con grande confusione, non capisce come mai le sue modalità e atteggiamenti si discostino a volte in modo preponderante da quelle altrui.
Ne è confuso, prova a introdurre degli accorgimenti spesso spartani e maldestri per sopravvivere, che non fanno altro che aumentarne lo stato di disagio e confusione personale.
Le stesse istituzioni che iniziano a seguire queste famiglie e persone sono a volte disorientate.
Asili nido, scuole materne o elementari, corsi sportivi o musicali, diventano i luoghi dove la confusione si espande ancora di più.
Gli insegnanti iniziano ad osservare e a porsi ulteriori domande, insieme o non, alla famiglia e alla persona stessa.
L’atmosfera che si respira è quella di una nebbia che lambisce tutto, persino la via d’uscita.
2. Negazione o svelamento
Ungaretti scriveva “Dopo tanta nebbia ad una ad una si svelano le stelle” (dalla poesia Sereno).
Per le persone autistiche e per le loro famiglie non sempre è così.
Per alcuni, questa nebbia e questa confusione può lasciare il posto a un percorso di accettazione e riconoscimento che inizia a delinearsi, rassicurando e a volte spaventando. Questo perché si inizia a intravedere che forse una risposta a tanti dubbi esiste e forse esistono delle soluzioni.
Per altre famiglie e persone, invece, il dolore legato all’impossibilità di aderire a canoni di normalità è troppo forte e schiacciante. In quelle situazioni, la scelta migliore per salvaguardare la propria integrità è la negazione del problema, l’evitamento oppure l’opposizione stessa di fronte alle istituzioni. Questa è sicuramente la situazione più dolorosa e difficile, sia per chi vive direttamente la diversità e chi osserva dall’esterno e vorrebbe aiutare.
In altre occasioni, invece, le famiglie e le persone hanno accettato l’esistenza di un problema e sono pronte al passo successivo, per indagare e definire finalmente il funzionamento differente.
In alcuni casi, però, sono le istituzioni che rallentano il percorso: insegnanti, pediatri, educatori o altre figure non preparate o inesperte, finiscono per tranquillizzare i genitori e far passare l’idea che si tratti di “crisi passeggere” che nel tempo potranno risolversi. Sicuramente anche qui, come nel caso precedente, la nebbia non fa altro che permanere e coprire tutto.
3. Diagnosi
Nella maggior parte dei casi, prima o poi si arriva comunque ad un momento di reale definizione della situazione.
Lo si fa attraverso un percorso di diagnosi presso strutture specializzate, tra visite, test e colloqui, che consente di definire il tutto con una parola: autismo o, in gergo tecnico, Disturbo dello Spettro Autistico.
Da qui in poi le strade possono essere le più disparate:
- ci sono famiglie e persone che iniziano a peregrinare in servizi e servizi per sentirsi dire un altro nome e porre fine ad una grande sofferenza;
- ci sono altri che iniziano ad essere supportati, ma con fatica accettano l’aiuto e si affidano ai professionisti;
- ci sono poi famiglie e persone che si affidano e con fatica iniziano un percorso di supporto per imparare a capire, a gestire le situazioni, a evolvere, ad accettarsi o accettare il proprio figlio/a.
Il tutto all’interno di un sistema di enti frastagliato, complesso e variegato.
Autismo: la rete come promotrice di circoli virtuosi
Ad oggi, il panorama socioassistenziale italiano che si confronta con l’Autismo, sta sempre più convergendo verso una visione in rete della persona e della sua famiglia. Una rete che pone al centro il soggetto e nei vari nodi tutte le persone di riferimento, dai familiari, alle figure mediche e istituzionali.
Una rete ben costruita può essere descritta come una rete i cui nodi sono “stretti e vicini”, soprattutto in corrispondenza della persona che è al centro. In questo modo è possibile sostenerla con efficacia, insieme ai propri familiari più stretti, nei momenti più critici.
Il lavoro di rete è costituito non solo da persone, ma anche dall’insieme degli interventi di connessione tra bisogni e risorse, che innescano un serie di passaggi gestionali finalizzati a migliorare il benessere delle persone e della collettività.
Per creare una tale sinergia, è necessario provvedere ai bisogni dei caregiver atrraverso due passaggi fondamentali:
1. Fornire informazioni, affinché abbiano tutti i dati per incominciare a immaginare la configurazione della rete e muoversi all’interno delle possibilità previste dalle politiche sociali e dalle risorse del territorio. In questo modo si contribuisce a dipanare la nebbia dovuta alla confusione iniziale e si comincia a delineare la via da percorrere.
2. Coinvolgimento, ossia delineare insieme alla famiglia le differenti fasi del percorso per coinvolgere tutte le persone che, oltre al bambino/ragazzo/adulto con Disturbo dello Spettro Autistico, possono divenire parte attiva: famiglia stretta e allargata, assistenti sociali, educatori, neuropsichiatri/psichiatri, insegnanti, enti, istituzioni, etc.
Ogni persona, grazie alle proprie differenti mansioni, può essere parte attiva di un circolo virtuoso che rende sempre più solida la rete su cui poggia la persona e la sua famiglia.
Un buon sistema socioassistenziale deve divenire promotore di queste due fasi in modo consapevole e orientato, al fine di garantire supporto alla persona e alla sua famiglia orientandola a soluzioni, possibilità e nuovi equilibri ora sostenibili.
Iniziare a tessere la tela è compito di chi assiste (assistente sociale/psicologo/figure assistenziali). Se i caregiver si sentono sostenuti e vengono informati, man mano saranno loro stessi a partecipare alla creazione della rete e diventeranno parte fondamentale di un processo positivo e creativo, alla luce di un mondo multicolore di possibilità.