Caregiver familiari, approfondimento psicologico

Alla scoperta dei Caregiver Familiari

Il termine caregiver è un vocabolo di origine anglosassone che indica “colui che si prende cura di…”.

Si è imposto nel linguaggio comune all’inizio della campagna vaccinale (per il Covid), quando le persone appartenenti alle categorie fragili, e i loro assistenti, avevano la precedenza nel ricevere la prima dose del vaccino.

I caregiver sono coloro che si prendono cura di una persona non autosufficiente, solitamente un anziano malato o una persona disabile.

I caregiver possono ricoprire questo ruolo per professione (in particolare operatori sociali e badanti) o perché familiari di chi ha bisogno.

I caregiver familiari molto spesso non sanno neanche di esserlo.

Nella maggior parte dei casi si sono assunti la responsabilità di una persona cara malata improvvisamente, per la necessità causata da un’emergenza.

Solo in un secondo momento, quando ad esempio, si trovano a dover chiedere supporto, contributi economici ecc. scoprono di ricoprire questo ruolo.

Sovente la scelta di continuare a occuparsi in modo esclusivo del familiare bisognoso dipende dal fatto che le liste di d’attesa per l’ingresso in strutture specializzate sono molto lunghe e/o i costi di un’assistenza domiciliare sono estremamente elevati.

I caregiver familiari: una categoria silenziosa, ma numerosa

Il compito dei caregiver è spesso invisibile e poco considerato, eppure sono una categoria molto diffusa sul territorio nazionale.

L’ultima ricerca Istat, datata 2018, rilevava 12 milioni 746 mila persone tra i 18 e i 64 anni (34,6% della popolazione) che erano impegnate a prendersi cura di un familiare non autosufficiente.

Se vogliamo essere precisi all’interno di questa categoria rientrano: i minori di 15 anni, i malati, i disabili o gli anziani che hanno bisogno di assistenza.

Se si procede nella lettura dell’analisi Istat si può osservare che oltre 10 milioni di italiani si occupano di minori di 15 anni e oltre due milioni si prendono cura di adulti non autosufficienti.

Questi due dati, in alcuni casi possono sovrapporsi in quanto ci sono persone che contemporaneamente si dedicano ai bambini e alle persone adulte.

Un altro dato importante, che si inserisce anche all’interno del tema legato al lavoro femminile, è che l’80% dei caregiver è appunto donna e che il 60% delle donne tra i 45 e i 55 anni hanno scelto di abbandonare il proprio impiego per poter prendersi cura di familiari non autosufficienti.

Gli stati d’animo che accompagnano i caregiver familiari

Questi numeri ci sottolineano quanto possa essere impattante e complesso riuscire a mantenere un giusto equilibrio e compromesso tra l’adempiere ai bisogni della persona cara senza dimenticarsi di prendersi cura anche del proprio benessere psico-fisico.

Lo stile di vita di un caregiver familiare spesso lo porta ad avere meno attenzioni e tempo per se stesso.

Quando la situazione si prolunga, può diventare una condizione logorante che può provocare un senso di stanchezza e sofferenza. È però importante ricordarsi che è possibile prendersi cura di qualcun altro solo quando ci si sente bene con se stessi e si è in equilibrio.

Alcune situazioni croniche e/o degenerative possono comportare un impegno molto gravoso che può incidere notevolmente nella vita sia del soggetto malato, che in quella di chi se ne prende cura.

Altri sentimenti che abbiamo potuto percepire attraverso le nostre linee di ascolto e di supporto alla persona sono il senso di solitudine e di impotenza.

Spesso ci si sente soli, perché non si trovano dei servizi in grado di dare il supporto e il sollievo non solo sperato, ma necessario.

Differenze e analogie tra i caregiver familiari

Tra i caregiver familiari possiamo distinguere due principali categorie:

  • coloro che assistono un familiare non autosufficiente più adulto di loro. Questa situazione prevede un capovolgimento dei ruoli, il figlio (o nipote…) si ritrova a prendersi cura di quelle persone che fino a poco tempo prima si erano occupate di lui (genitori, zii, nonni…);
  • coloro che assistono un familiare più giovane di loro, in quanto è subentrata una disabilità o una malattia. In queste situazioni sono i genitori o i fratelli che si fanno carico della loro assistenza.

Queste persone condividono alcune fatiche, come il perenne stato di allerta.

Il lavoro di caregiver è infatti a tempo pieno, 365 giorni l’anno h24; coloro che lo ricoprono sono consapevoli che in qualsiasi momento, giorno feriale o festivo, lavorativo o di ferie, può essere necessario un loro intervento.

Tuttavia, le due categorie di caregiver che abbiamo arbitrariamente individuato in precedenza hanno delle differenze rilevanti.

Chi assiste una persona anziana, ad esempio, ha bisogno di prepararsi al distacco e impegnarsi nella rielaborazione del lutto.

Tra le questioni che deve affrontare troviamo la necessità di mantenere, per quanto possibile, la dimensione identitaria del soggetto al centro delle cure.

È infatti importante ricordarsi che, anche se dal punto di vista pratico, alcuni ruoli possono essersi invertiti, il familiare bisognoso di cure resterà comunque il suo genitore o parente e per questo motivo ci si sforzerà comunque di considerarlo tale, coinvolgendolo nelle decisioni che lo riguardano e facendo il possibile per evitare di sostituirsi a lui.

Il ruolo dei caregiver è proprio quello di supportare e accompagnare il familiare nell’ultima parte della sua vita, garantendogli non solo cure e assistenza, ma anche dignità e possibilità di scelta, fino a quando ciò sarà possibile.

Soprattutto nei casi di malattia fisica è importante che la persona che necessita di cure e chi l’assiste possano condividere e parlare di questa esperienza, perché il poter nominare la malattia (e anche la morte) è sicuramente un modo per gestirla e affrontarla.

Per quanto riguarda i caregiver familiari che si occupano di figli o fratelli/sorelle disabili la situazione è un po’ diversa. Prima di tutto i genitori si trovano a fronteggiare e accettare la diagnosi di disabilità di un figlio con tutte le ripercussioni psicologiche e di assetto familiare che ne conseguono.

Inoltre, con il tempo, si rendono conto che per quanto possano impegnarsi e contribuire a far sì che il figlio raggiunga il maggior livello di autonomia possibile, probabilmente ci sarà sempre qualcosa per cui avrà bisogno di assistenza e quindi loro continueranno a essere fornitori di cure in modo duraturo e continuativo, situazione che a lungo andare può essere logorante.

Oltre a ciò, solitamente queste persone si trovano a dover convivere con una situazione non solo cronica, ma che probabilmente perdurerà oltre la loro vita. Per questo uno dei temi a loro più cari è quello del “Dopo di noi”, cioè la preoccupazione di essere in grado di assicurare al proprio caro una giusta assistenza e un benessere adeguato anche una volta che loro non potranno più occuparsene direttamente.

In conclusione

Come abbiamo visto, il compito dei caregiver familiari è contemporaneamente fondamentale e delicato, necessita di maggior visibilità ed empatia da parte di tutti noi.

Essere caregiver impatta inevitabilmente sull’equilibrio emotivo, così come sulle prestazioni e le dinamiche relazionali in ambito lavorativo e professionale.

Per questo diventa fondamentale che le aziende e le organizzazioni che mirano alla creazione di una cultura del benessere all’interno dei propri spazi, non perdano di vista la specificità e la peculiarità di queste situazioni.

Attività di formazione e l’attivazione di specifici servizi di supporto, possono essere le prime risposte a un’esigenza che non può più essere trascurata.

Prendersi cura delle Persone significa anticiparne i bisogni e mettere a loro disposizione tutti gli strumenti necessari per poter affrontare al meglio le loro sfide quotidiane, anche e soprattutto quelle più dispendiose e meno visibili.

A cura di Sara Comandatore,
Social Care Coordinator
Stimulus Italia