Disturbi del comportamento alimentare nel contesto lavorativo

Disturbi del comportamento alimentare nel contesto lavorativo

Nutrizione e benessere vanno di pari passo: nutrire sé stessi è un atto d’amore verso il proprio corpo e la propria salute. Questo è un principio che molti di noi conoscono ma, in alcune circostanze, l’attenzione verso la nutrizione e il proprio corpo può trasformarsi in un’ossessione.

L’alimentazione può essere immaginata come uno spettro: da un lato vi sono le persone che hanno un rapporto equilibrato e flessibile con il cibo, le loro scelte alimentari sono guidate dai segnali fisiologici di fame e sazietà, dall’altro vi è chi soffre di Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA).

Che cosa sono i disturbi del comportamento alimentare?

I DCA rappresentano vere e proprie condizioni di salute mentale, caratterizzate da abitudini alimentari anomale e da una percezione alterata della propria immagine corporea. Tra le principali manifestazioni dei Disturbi del comportamento alimentare vi sono: l’anoressia nervosa, la bulimia nervosa e il binge eating disorder.

Nonostante la complessità di questi disturbi, è possibile affrontarli grazie a interventi integrati, che combinano il supporto medico con quello psicoterapeutico. Questo approccio multidisciplinare è essenziale per garantire un trattamento efficace e personalizzato. Tuttavia, un aspetto spesso trascurato nel dibattito sui DCA è il ruolo del contesto lavorativo.

Qual è l’impatto che l’ambiente di lavoro può avere su chi soffre di disturbi alimentari? Perché il potenziale ruolo di supporto o ostacolo del luogo di lavoro è così frequentemente ignorato?

Il ruolo del contesto lavorativo in chi soffre di disturbi del comportamento alimentare

Nei contesti lavorativi si parla ancora troppo poco di disturbi del comportamento alimentare, poiché questi sono tuttora circondati da un forte stigma. Chi ne soffre viene spesso percepito come inaffidabile, incapace di gestire le proprie emozioni e di prendere decisioni in modo razionale (Siegel & Sawer, 2019). Inoltre, questa malattia mentale viene frequentemente sminuita dai colleghi, alimentando un clima di incomprensione e pregiudizio.

A ciò si aggiunge una diffusa mancanza di conoscenza sul tema all’interno del mondo del lavoro. Spesso non vi è una chiara visione condivisa di cosa siano i DCA, né la loro complessa sintomatologia, si tende a ridurli erroneamente a un problema risolvibile semplicemente riprendendo un’alimentazione regolare. In realtà, i disturbi del comportamento alimentare sono patologie mentali radicate in un malessere profondo e viscerale, che va ben oltre le abitudini alimentari. Questo contesto di disinformazione e pregiudizio amplifica il disagio di chi convive con un Disturbo del comportamento alimentare, generando un senso di isolamento.

Comportamenti di chi soffre di disturbi del comportamento alimentare nel mondo del lavoro

Per comprendere meglio i disturbi del comportamento alimentare (DCA) nel contesto lavorativo, può essere utile analizzarli attraverso la lente della teoria dell’autodeterminazione. Secondo questa teoria, sviluppata da Deci e Ryan (1985), il benessere psicologico dipende dalla soddisfazione di tre bisogni fondamentali: autonomia, competenza e relazionalità.

– Autonomia: rappresenta il bisogno di sentirsi liberi di esprimere un senso di scelta nelle proprie azioni.

– Competenza: riguarda il sentirsi efficaci e capaci di raggiungere obiettivi desiderati.

– Relazionalità: si riferisce al bisogno di sentirsi accuditi, connessi e accettati dagli altri.

Tuttavia, quando questi bisogni psicologici vengono frustrati le persone possono sviluppare comportamenti compensatori, che sono spesso evidenti in chi soffre di DCA:

– Perfezionismo:  le persone con DCA spesso faticano a sentirsi efficaci e competenti. Per compensare questa carenza, investono enormi energie nella performance lavorativa, imponendosi standard irrealisticamente elevati. Tuttavia, ogni volta che si avvicinano al traguardo, provano insoddisfazione, alimentando un ciclo di autovalutazione critica.

Inoltre, il perfezionismo può agire come un meccanismo di difesa, concentrarsi sugli obiettivi lavorativi protegge dalla possibilità di affrontare il dolore emotivo associato al disturbo. Questo comportamento, seppur funzionale nel breve termine, contribuisce a perpetuare il disagio psicologico.

– Isolamento sociale: chi soffre di DCA tende ad avere reti sociali limitate. Le dinamiche sociali tipiche del contesto lavorativo, come pranzi collettivi o incontri informali in cui il cibo è protagonista, possono essere estremamente stressanti. Spesso queste persone cercano di evitare tali situazioni, adottando scuse o strategie per sfuggire al disagio.

Sebbene tale evitamento possa offrire sollievo immediato, a lungo andare amplifica il senso di esclusione, frustrando il bisogno di relazionalità. Ciò può compromettere ulteriormente il benessere psico-fisico e la percezione di supporto sociale.

– Routine rigide e prevedibilità: le persone con un Disturbo del comportamento alimentare trovano conforto in routine alimentari estremamente rigide e schemi ben definiti che offrono loro un senso di struttura, prevedibilità e sicurezza. Questo comportamento compensa, in parte, il deficit dei bisogni di competenza e autonomia.

Al lavoro, queste persone tendono a preferire ambienti standardizzati e prevedibili. Ad esempio, hanno bisogno di sapere in anticipo cosa mangeranno a pranzo o come si svolgerà la loro giornata. Situazioni lavorative non strutturate o imprevedibili possono risultare destabilizzanti, generando ansia e difficoltà nell’adattarsi

Come aiutare chi soffre di un DCA al lavoro?

Magari non avete mai sperimentato in prima persona un disturbo alimentare, è importante però ricordare che ciascuno di noi può svolgere un ruolo significativo nel supportare chi ne soffre o ne ha sofferto. In particolare, sul posto di lavoro, è essenziale adottare atteggiamenti consapevoli e strategie che possono fare la differenza:

1. Prestare attenzione al linguaggio: è bene evitare di commentare l’aspetto fisico o il corpo dei colleghi anche se con intenzioni positive, non conosciamo mai veramente cosa sta vivendo una persona.

2. Gestire con discrezione gli eventi sociali legati al cibo: le pause pranzo, i pranzi aziendali o gli eventi sociali che coinvolgono il cibo possono essere fonte di stress per chi soffre di disturbi alimentari. È bene evitare di forzare la partecipazione a tali situazioni. Può essere utile considerare alternative per la socializzazione, come attività di team-building che non ruotano attorno al cibo (es. incontri per un caffè, passeggiate o workshop).

3. Esprimere preoccupazione con empatia: Se siete preoccupati per un collega, affrontate l’argomento con sensibilità e senza giudizio. Usate la prima persona per evitare di far sentire la persona sotto accusa. Ecco alcune frasi che possono favorire un dialogo aperto senza pressione “Mi sento preoccupato per te” o ancora “Non voglio invadere il tuo spazio, ma se vuoi parlarne, sono qui per ascoltarti.”

4. Integrare il supporto psicologico e i servizi di assistenza sanitaria nelle politiche aziendali: Incorporare servizi di consulenza psicologica e assistenza sanitaria nelle politiche aziendali può fare la differenza per il benessere dei dipendenti. È fondamentale che l’accesso a questi servizi sia comunicato in modo chiaro, affinché tutti sappiano di poter ricevere supporto senza timore di stigma. Manager, dirigenti e colleghi dovrebbero promuovere una cultura aziendale basata sull’ascolto e sulla comprensione, incoraggiando chi ne ha bisogno a chiedere aiuto.

Un impegno condiviso per un ambiente di lavoro inclusivo

Adottare un linguaggio attento e rispettoso, creare occasioni di socializzazione che non ruotino esclusivamente attorno al cibo e garantire l’accesso a risorse psicologiche adeguate sono azioni concrete per promuovere il benessere dei colleghi. Anche i gesti più semplici possono fare la differenza nel supportare chi affronta Disturbi del Comportamento Alimentare, contribuendo così alla costruzione di un ambiente lavorativo più accogliente e solidale.

Ognuno di noi ha un ruolo fondamentale nella creazione di un contesto inclusivo e rispettoso, in cui fiducia, empatia e comprensione siano alla base delle relazioni professionali.

 

 

 

 

Valentina Nuscis,
Dottoressa in Psicologia del Lavoro, del Marketing e della Comunicazione