Coronavirus

Smart working: la flessibilità del lavoro come risposta all’emergenza Coronavirus

In questi giorni ci troviamo in piena emergenza nazionale. Tutti i cittadini sono chiamati a rispondere collettivamente a una minaccia invisibile che sta mettendo in pericolo la salute pubblica e attaccando i valori fondativi del nostro Paese. La soluzione è tanto semplice quanto impattante: restarsene il più possibile a casa. Dopo la chiusura delle scuole, le aziende pubbliche e private devono rispondere alla necessità di ridurre i contatti fisici tra le persone mantenendo la continuità del business. Tuttavia, chiudere i battenti non è la soluzione. Ecco quindi che molte aziende, già dai primissimi giorni di emergenza, hanno disposto che i propri dipendenti, compatibilmente con la propria mansione, restassero confinati in smart working. Ad oggi, questa sembra essere l’unica soluzione affinché la maggior parte dei servizi pubblici e privati restino operativi. Ma che cos’è lo smart working e quali sono le indicazioni per poter svolgere in maniera proficua il proprio lavoro da remoto, con un vantaggio tangibile per azienda e dipendente? In questo articolo prenderemo in esame le strategie per sfruttare al meglio le possibilità offerte dallo smart working.

Che cos’è lo smart working?

Prima di essere una modalità di lavoro, lo smart working è un approccio che si basa sulla flessibilità e sulla piena autonomia del dipendente nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti di lavoro. Questo è un punto essenziale da comprendere, in quanto lo smart working, al di fuori del contesto di emergenza nel quale ci troviamo, non implica necessariamente il lavoro da casa, ma prevede la possibilità di scegliere il luogo di lavoro a seconda delle esigenze del dipendente, del team e dell’organizzazione. Lo smart working, quindi, rappresenta un’evoluzione del telelavoro: il dipendente è libero di scegliere le modalità più efficaci per raggiungere i propri risultati, compresa la possibilità di decidere il luogo e gli orari di lavoro, concertando le opzioni disponibili con gli altri collaboratori e attori aziendali. Il concetto cardine dello smart working è la responsabilizzazione dei collaboratori sul raggiungimento dei risultati.

Le conseguenze di questo paradigma sull’organizzazione del lavoro sono notevoli: avviene il passaggio definitivo da mansione a ruolo, la creazione di team inter-funzionali e la migrazione verso un modello “orizzontale” di gestione del lavoro. In questa visione, il manager è chiamato non tanto a controllare, quanto a definire gli obiettivi da raggiungere e a supervisionare i propri collaboratori. La funzione di controllo, che nei modelli rigidamente verticali era svolta sul dipendente in base alla sua presenza in ufficio e alle ore di lavoro svolte, si sposta alla fine del processo attraverso la misurazione dei risultati. Autonomia e diversificazione dei ruoli diventano, quindi, la chiave per raggiungere gli scopi aziendali in base a un modello che vede nel dipendente una risorsa polifunzionale.

Quali sono le maggiori sfide dello smart working?

Lavorare in ottica “smart”, secondo un principio di piena autonomia, richiede più impegno rispetto al lavoro “tradizionale”: la prima sfida per le persone è sviluppare un mindset che sappia tenere in considerazione la complessità del lavoro e non soltanto la parte assegnata al singolo individuo. Per fare ciò, i collaboratori devono imparare a essere proattivi, organizzando, per ogni singola attività, le fasi che verranno dopo, avendo in mente il rapporto tra le parti e il tutto. I manager, per portare i propri collaboratori a svolgere il lavoro in sinergia, devono impiegare un adeguato periodo di tempo affinché le persone imparino a svolgere il loro lavoro in autonomia. I manager, a loro volta, devono imparare a gestire il team da remoto, definire gli obiettivi da raggiungere e i tempi di realizzazione, oltre a rimanere in contatto emotivo con i collaboratori attraverso l’ascolto attivo e l’ascolto empatico.

Lo smart working al tempo del Coronavirus: da che cosa dobbiamo iniziare?

L’emergenza nazionale ha portato molte persone per la prima volta a utilizzare lo smart working come modalità di lavoro non più occasionale. È comprensibile che in molti si sentano non preparati a questa sfida, tuttavia pensiamo che questo sia il momento giusto per mettersi alla prova e provare a trarre dalla situazione attuale un’opportunità di cambiamento. Di seguito riportiamo le abilità che possiamo sviluppare per attuare uno smart working in linea con i propri obiettivi e con gli obiettivi aziendali.

  1. Disponibilità all’apprendimento. Le persone che si approcciano per la prima volta allo smart working si trovano spesso in difficoltà per la mancanza di conoscenza degli strumenti digitali, inclusi i programmi di produttività e i servizi in cloud. Conoscere i software che permettono di lavorare e gestire il lavoro a distanza è il primo passo per fare un salto di qualità nella propria modalità di lavoro. Per imparare qualcosa di nuovo serve, tuttavia, essere aperti alla possibilità di cambiare: si tratta di una disposizione mentale che costa fatica (almeno inizialmente) e che dà i suoi risultati nel lungo termine.
  2. Capacità di mantenere il focus. «Che cosa sto facendo, con chi e perché»: sono le tre domande che ogni persona deve farsi se vuole lavorare in smart working senza perdersi nella confusione. Imparare a contestualizzare le azioni che mettiamo in atto ogni giorno rispetto agli obiettivi assegnati è il secondo requisito per lavorare in smart working in maniera produttiva.
  3. Ordine e pianificazione. Lavorare con strumenti digitali, senza l’ausilio di carta, penna e faldoni, può portare all’accumulo di informazioni sul proprio PC perdendo la capacità di orientarsi. L’ordine nei propri file e nelle proprie cartelle è, perciò, un passo obbligatorio: aiuta ad archiviare correttamente le informazioni e a recuperarle al momento opportuno. Accanto all’ordine serve maggiore attenzione alla pianificazione del lavoro: ogni attività completata richiama inevitabilmente quella successiva, in relazione a dove dobbiamo arrivare. Si tratta di un orientamento proattivo che permette di prevedere e anticipare i passi successivi nel lavoro individuale e di gruppo.
  4. Connessione e disconnessione. Poiché nello smart working manca una definizione predefinita del tempo e dello spazio di lavoro, il compito di stabilire confini netti tra vita privata e vita professionale spetta inevitabilmente alla persona. Occorre imparare a gestire in modo intelligente la tecnologia per ridurre l’eccesso di connettività e le ingerenze del lavoro nella vita privata, per esempio evitando di rispondere al telefono dopo che la giornata di lavoro è terminata. Inizialmente, ignorare una comunicazione che arriva sui nostri dispositivi può sembrare innaturale, ma con un po’ di autodisciplina possiamo imparare a separare la sfera privata da quella professionale senza sentirci in colpa.
  5. Competenze emotive e relazionali. Lavorare da remoto può appiattire i legami interpersonali che si creano sul posto di lavoro, a causa di una maggiore distanza fisica tra le persone. È indispensabile, per esempio, imparare a capire quando i nostri colleghi o i nostri collaboratori sono in difficoltà ed essere pronti a prestare loro aiuto. Al contempo, è importante non alimentare i conflitti interpersonali (che a distanza risulterebbero amplificati) ma essere disposti a concentrarsi sulle soluzioni ai vari problemi che possono sorgere nel contesto di lavoro. Nell’attuale emergenza nazionale, dove la distanza fisica tra le persone è imposta a tutela della salute reciproca, sentiamo maggiormente il bisogno di comunicare con le persone che sono lontane da noi condividendo le fatiche di questo momento e valorizzando gli aspetti che ci legano gli uni agli altri. Il bisogno di relazione è uno dei fattori che ci aiuterà a lavorare in smart working con maggiore senso di coesione e ad attraversare con maggiore serenità questo delicato momento storico.

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