Riconoscere un collaboratore vittima di mobbing

I principali segnali di una persona vittima di mobbing sono da individuare nel fatto che la vittima non lavora più con gli stessi ritmi e la stessa efficienza: la sua produttività si riduce notevolmente sino ad arrivare all’80% della capacità lavorativa individuale.

Il “mobbizzato” manifesta problemi psicosomatici che lo costringono a lunghe e continue assenze per malattia (disturbi gastrointestinali, problemi cardiaci, depressione, attacchi di panico). A livello psicologico vi è la perdita dell’autostima, depressione e soprattutto un senso di inadeguatezza costante.

È bene sapere che ogni lavoratore potrebbe essere vittima di mobbing. Generalizzando, comunque, sembra che le persone più a rischio siano quelle o troppo passive o troppo aggressive.

D’altro canto, è possibile identificare anche gli autori di vessazioni sul lavoro. Eccone alcune tipologie:

  • L’istigatore: è colui/colei che è sempre alla ricerca di nuove cattiverie e maldicenze volte a colpire gli altri.
  • Il collerico: è la persona che non riesce a contenere la rabbia e far fronte ai suoi problemi e solo prendendosela con gli altri riesce a scaricare la forte tensione interna.
  • Il megalomane: è colui/colei che ha una visione distorta di se stesso considerandosi sempre al di sopra, un senso di Io grandioso che lo autorizza a colpire gli altri ritenuti inferiori.
  • Il frustrato: è l’individuo insoddisfatto della sua vita che scarica il suo malessere sugli altri, alla stregua del collerico.
  • Il sadico: è colui/colei che prova piacere nel distruggere l’altro e che non è disposto a lasciarsi scappare la vittima; questo individuo, identificato da altri come il perverso narcisista, rappresenta il modello più pericoloso in quanto è da considerarsi uno psicotico senza sintomi che rifiuta di prendere in considerazione i suoi conflitti interni e trova il suo equilibrio scaricando il dolore su di un altro.
  • Il criticone: è la persona perennemente insoddisfatta degli altri che crea un clima di insoddisfazione e di tensione.
  • Il tiranno: è simile al sadico, non sente ragione ed i suoi metodi seguono uno stile dittatoriale.
  • L’invidioso: è colui/colei che è sempre orientato verso l’esterno e non può accettare l’idea che qualcun altro stia meglio di lui.

Come dovrebbe comportarsi la vittima nel contesto lavorativo?

Molto importante è non isolarsi, ma coltivare le relazioni sociali, frequentare gli amici, rinsaldare i rapporti familiari, fare tutto ciò che può diventare una valvola di sfogo. Molte volte si cercano “alleati” tra i colleghi, ma difficilmente si trovano, in quanto paurosi di avere ritorsioni o addirittura paura di essere licenziati. Credo tuttavia necessario che si debba migliorare la comunicazione con i colleghi e le colleghe solo in questo modo si può avere un riscontro; acquisire maggior autostima, anche per capire se si tratta di mobbing o meno, per aumentare il rispetto di sé.

Che tipo di intervento psicologico si potrebbe proporre?

Di solito si propongono due tipi di intervento: soggettivo e aziendale.

Nel caso dell’intervento mirato all’azienda, si dovrebbe attuare una formazione che corregga ed indirizzi adeguatamente il lavoro delle Risorse Umane e del middle management. Ciò vuol dire intervenire sulla cultura aziendale e sull’atteggiamento direttivo per migliorare la gestione delle situazioni critiche, attraverso l’erogazione di percorsi che portano a fortificare le persone sul piano psicologico e relazionale.

Nel caso di intervento personale, si valuta la personalità del soggetto, facendo emergere i suoi conflitti pregressi irrisolti. In una situazione di mobbing, gli attacchi del mobber feriscono perché toccano aspetti irrisolti della vittima, la quale non riesce a ripristinare dei confini interpersonali adeguati. Con il tempo, acquisendo la capacità di rispondere adeguatamente in qualsiasi circostanza, la vittima si sentirà più sicura di se stessa e nei rapporti interpersonali, ispirando rispetto e considerazione; in tal modo riuscirà a salvaguardare la sua dignità ed evitare che gli attacchi costituiscano delle premesse per un malessere profondo.

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