Genitorialità e work life harmony

genitorialità

Ogni anno, il 1° giugno si celebra la Giornata Mondiale dei Genitori, istituita dalle Nazioni Unite nel 2012. Questa ricorrenza internazionale rappresenta un’occasione per valorizzare la genitorialità e il contributo essenziale di chi si prende cura e si occupa della crescita di bambini, bambine e adolescenti.

Diventare genitori è un’esperienza trasformativa, che modifica equilibri, priorità e, inevitabilmente, anche il rapporto con il lavoro. È proprio nel momento in cui si diventa genitori che emergono con forza le sfide legate alla conciliazione tra sfera familiare e professionale.

Parlare di work-life harmony oggi significa riconoscere che il lavoro non è una parentesi nella giornata lavorativa, ma ne è parte integrante. Le aziende che vogliono intraprendere azioni volte alla work-life harmony, permettono di vivere il lavoro non in contrapposizione al lavoro di cura, ma in continuità con essa.

Il contesto culturale agevola la work life harmony di tutti i genitori?

La possibilità di vivere serenamente sia gli impegni legati alla sfera lavorativa che a quella familiare è influenzata da diversi fattori: territorio di appartenenza, rete di supporto disponibile e misure adottate dalla propria realtà lavorativa. Un ulteriore aspetto da considerare è quello legato all’identità di genere e alla struttura della famiglia. La genitorialità oggi è vissuta in modi differenti, spesso ancora segnati da disuguaglianze.

Nelle coppie cisgender ed eterosessuali il carico di cura tende spesso a gravare sulle madri, a causa di modelli culturali tradizionali. Nelle famiglie arcobaleno (composte da persone gay, lesbiche, trans, non binarie) i ruoli sono, invece, spesso più negoziati e condivisi. Tuttavia, restano sfide specifiche: mancano riferimenti normativi chiari e strumenti adeguati, che rendano visibili e pienamente riconosciute tutte le forme di genitorialità.

È, invece, in atto un cambiamento culturale, seppur ancora lento, che riguarda una maggiore conquista del tempo genitoriale da parte dei padri. Secondo dati ISTAT, oggi tre padri su cinque usufruiscono del congedo obbligatorio di paternità di 10 giorni, un dato triplicato rispetto al 2012, quando era previsto solo un giorno. Un segnale positivo, anche se ancora distante dall’utilizzo dei cinque mesi di maternità obbligatoria per le madri.

Gli ostacoli della genitorialità

Va detto anche che l’accesso al congedo non è uguale per tutti: è più frequente che venga utilizzato nelle imprese medio-grandi, tra lavoratori con contratti stabili e redditi più alti, meno, invece, tra chi è in contesti precari o marginalizzati.

Uno degli ostacoli meno visibili ma più persistenti è la percezione, diffusa in molte realtà lavorative, che accedere a misure di conciliazione sia sconsigliabile. Sebbene esistano strumenti come congedi, orari flessibili o part-time vengono spesso visti come “penalizzanti”.

Da ciò ne consegue un abbandono del posto di lavoro per il carico di cura che pesa per la maggior parte verso uno dei due genitori (statisticamente la madre) e verso un mancato utilizzo delle possibili forme di conciliazione per l’altra parte (spesso il padre).

Questa distanza tra ciò che è previsto per legge (che rimane esiguo rispetto ad altri paesi europei) e ciò che viene accettato culturalmente rischia di vanificare molte delle politiche pensate per promuovere un vero equilibrio tra vita personale e professionale.

Genitorialità e work life harmony: il ruolo dell’azienda

L’effettiva fruizione dei congedi legati alla genitorialità e delle misure di conciliazione vita-lavoro dipende fortemente da ciò che viene comunicato all’interno degli ambienti di lavoro.

Se un’azienda non comunica chiaramente che la genitorialità è una responsabilità condivisa e che tutti i collaboratori e le collaboratrici sono legittimati a utilizzare questi strumenti, sarà difficile che vengano adottati con serenità.

Spesso, infatti, sono gli stessi lavoratori e lavoratrici a “autoescludersi”, temendo ripercussioni sulla propria carriera, temendo di apparire meno performanti. In questo contesto, il ruolo dei manager è cruciale. Una leadership consapevole e capace di sostenere il dialogo aperto fa la differenza tra un’opportunità teorica e una realmente accessibile.

Ecco tre azioni chiave che le organizzazioni possono mettere in campo per promuovere una maggiore equità genitoriale:

– Formare i manager su leadership inclusiva: investire nella formazione per contrastare stereotipi, promuovere la cultura della cura e legittimare l’uso dei congedi da parte di tutti.

– Comunicare chiaramente le politiche di conciliazione: informazioni accessibili, spazi di confronto e strumenti di supporto come l’Employee Assistance Program (EAP), aiutano a normalizzare l’utilizzo dei diritti legati alla genitorialità.

– Supportare il rientro al lavoro: il rientro non è solo logistico ma identitario. Riconoscere nuove competenze acquisite e offrire tempo e flessibilità per pianificare il reinserimento è fondamentale.

Conclusioni

La genitorialità non può essere considerata un evento isolato o un ostacolo alla produttività. È una fase centrale nella vita di molte persone, che porta con sé nuove responsabilità ma anche nuove competenze. Stereotipi di genere e aspettative implicite come quelle di vedere le madri come meno disponibili e i padri che chiedono flessibilità come poco ambiziosi, è importante che vengano superate.

Per le organizzazioni, accogliere e sostenere la genitorialità significa costruire un ambiente di lavoro più equo, sostenibile e attrattivo. Sostenere chi diventa genitore non è solo una buona prassi: è un investimento strategico per il benessere organizzativo e la retention dei talenti. Solo così è possibile passare da una logica di conciliazione, spesso emergenziale, a una vera armonia tra vita e lavoro. In cui ogni persona possa esprimere appieno il proprio valore, in ogni fase della propria vita.

 

 

Veronica Preti
Social Care Specialist